Il dolore fa male. E, allora, è evidente che si cerchi di alleviare la sofferenza e di rifuggirla. L’uomo moderno ha ereditato il comportamento adattivo di provare ad evitare ogni esperienza spiacevole, anche quando sia necessario vivere un dolore come risposta necessaria agli urti della vita. Nel caso della perdita di una persona amata, infatti, elaborare un lutto è una tappa obbligata che porta a sprofondare negli angoli più remoti della sofferenza. Ma è necessario per riemergere.vNegare il dolore, cercando di rimuoverlo o di non pensarci, non serve a niente. Anzi, lo trasforma in una lenta agonia alla quale è impossibile reagire.
Gestire il dolore
La società contemporanea è terrorizzata all’idea di poter provare dolore. Per questo, in venta ogni genere di anestetico culturale, improntato al benessere apparente. Ma nella società contemporanea il tema della gestione del dolore è quanto mai attuale per affrontare le guerre moderne, le pandemie e le carestie del nuovo millennio. L’uomo moderno, davanti alle fonti di sofferenza, dalle violenze psicologiche agli abusi senza età, dalle più becere forme di deprivazione in società e ai comportamenti di prevaricazione, si scopre fragile, vulnerabile e troppo permeabile al dolore. La tendenza all’edonismo gli procura ogni genere di distrazione per esorcizzarlo ma, quando arriva, si fa sentire, in barba ai tentativi di fuga.
Se, infatti, è importante ricordare che ogni emozione risulta devastante se estremizzata, perfino il piacere, questo è vero ed evidente ancora di più per il dolore. Fin dai primordi della nostra storia di umani, la guarigione passa per la sofferenza, quale rito di passaggio fondamentale per liberarsene, attraverso le pratiche sciamaniche e divinatorie. Tutte le religioni contemplano il dolore come una necessaria esperienza di elevazione dell’individuo per avvicinarsi a Dio. Perfino nel cattolicesimo, secondo cui l’insegnamento più alto è l’estremo sacrificio di Cristo che può innalzare l’uomo verso un’esperienza simile alla santità.
Esorcizzare il dolore
Ma come insegnano le storie di comunità resilienti che hanno trasformato il dolore in risorse per la vita, dimostrandosi capaci di assorbire gli urti della vita, “le lacrime possono essere trasformate in perle” (metafora indiana). Il senso del tragico accompagna da sempre l’uomo nel suo evolversi e rappresenta, come nel teatro greco, un esorcismo della sofferenza che ogni uomo deve necessariamente affrontare nel corso della propria esistenza.
Per tutte queste ragioni, il dolore va riabilitato dalla moderna demonizzazione a cui l’uomo contemporaneo lo ha relegato, evitandolo e rifuggendolo in favore di una patetica ricerca della felicità.
Come scrive Cioran (citato da Nardone in Emozioni, istruzioni pre l’uso), “il coraggio che manca di più è quello di soffrire per cessare di soffrire”. Toccare il fondo per riemergere è, allora, il modo per attraversare la sofferenza e gestirla. Con pazienza. I mezzi artistici, con il loro potere catartico, sono, in questo senso, una salvezza per esorcizzare ogni vissuto emotivo intenso. Consiglio questo link per ogni approfondimento sul tema.
La forza in fondo al dolore
Quando si è realmente immersi nell’esperienza di dolore, si percepisce fin da subito una marcata riduzione della sofferenza al di fuori dello spazio che viene destinato a quello stato d’animo. Il dolore, allora, smette pian piano di essere una tortura e si trasforma in catarsi che assorbe e via via sfuma gli effetti devastanti degli abissi della sofferenza, fortificando l’individuo.
Ma se l’individuo prova negare il suo dolore, se lo minimizza o, peggio ancora, lo evita, non diventerà mai salvezza e protrarrà i suoi effetti per lunghissimi tratti della sua esistenza. Ogni esperienza di profondo dolore segna a vita. Solo il coraggio adulto di attraversarlo aiuta a trovare la forza e le energie necessarie per superarlo. Se, però, la società incoraggia i cittadini a restare bambini anche a quarant’anni, abituati ad essere assistiti e a perpetuare i comportamenti di dipendenza da altri con funzioni genitoriali (siano essi il padre e la madre o lo Stato), reagire al dolore appare impresa titanica. Perché il bambino è debole: è la sua natura.
Meglio, allora, negare la sofferenza e fingere che va tutto bene. Finché va bene. O fino a quando una nuova educazione non insegnerà che la vera forza è saper vivere tutte le emozioni, anche quelle di cui non vorremmo mai fare esperienza.
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